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PUNTA STILO 9 LUGLIO 1940


Francesco Mattesini
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PUNTA STILO 9 LUGLIO 1940

 

        Avendo letto l’articolo di Enrico Cernuschi “Punta Stilo 9 luglio 1940 - Carta (inglese) canta”, pubblicato sulla rivista Marinai d’Italia, Agosto/Settembre 2014, mi permetto di fare semplicemente alcune osservazioni sulle tante inesattezze che vi sono contenute, riportando il testo completo nella forma stampata (anche con gli errori), con i miei interventi in corsivo.

 

Francesco Mattesini

 

 

Quella di Punta Stilo è stata la maggiore battaglia navale  combattuta in Europa, in America e in Africa durante la seconda guerra mondiale. Soltanto nel Pacifico furono coinvolte in una sola occasione, ovvero nell’ottobre 1944, più navi da guerra rispetto al totale complessivo di quel pomeriggio estivo nel Mar Jonio. Meno di una settimana prima, il 3 luglio 1940, si erano fronteggiate, in verità, tre navi da battaglia (e una portaerei) inglesi contro quattro corazzate francesi rispetto alle sei del 9 luglio, ma si era trattato di una sorta di pesca nel barile perché le unità della Marine Nationale erano state colte ferme in porto, a Mers-el-Kébir, in Algeria, e nell’impossibilità di replicare (o quasi) perdendo, nel corso di quell’aggressione, la nave di linea Bretagne (centrata e capovoltasi portando con sé 977 marinai) e lamentando gravi danni alle pari categoria Provence e Dunkerque e ad altre unità più piccole.

Punta Stilo, viceversa, fu una battaglia da manuale sul genere di quelle studiate e provate, per decenni, dalle Marine di tutto il mondo. Un trionfo delle manovre, della velocità e del tiro (condotto alle massime distanze mai registrate, fino ad allora, dalla storia) con l’aggiunta, spettacolare, delle cavalcate di dozzine di cacciatorpediniere lanciati a tutta velocità per portarsi al lancio tra il bianco delle onde e degli spruzzi sollevati dalle loro prore e sbucando all’improvviso dalle nuvole artificiali delle cortine fumogene, il tutto sotto un cielo terso e un sole “da quadro”, secondo quanto riferito dalle cronache.

 

        [Questa introduzione é trattata con troppo entusiasmo perché, come analizzeremo, i fatti non andarono come ha scritto l’Autore]

 

I fatti sono rapidamente riassumibili. Sin dal settembre 1937 il Gabinetto di Sua Maestà britannica e l’Ammiragliato avevano  deciso, di comune accordo, in merito all’opportunità di eliminare, il prima possibile, in caso di complicazioni, l’Italia mediante una rapida e facile “una grande battaglia navale decisiva”. Dopo due false partenze verificatesi il 10 maggio [sic] e il 22 giugno 1940, la Mediterranean Fleet dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham salpò, infine, la sera del 7 luglio per quella che sarebbe stata, finalmente, la volta buona. Molto sicuro di sé stesso ABC, come era noto comunemente nella Royal Navy, trasmise il proprio piano di battaglia all’Ammiragliato il pomeriggio del 5 comunicando non solo dove e quando contava di fare a pezzi gli italiani, provocandoli bombardando dal mare Augusta e la costa orientale siciliana salvo spingersi fino all’altezza di Messina, ma che avrebbe diviso, durante la navigazione di avvicinamento, le proprie forze. La nave da battaglia sulla quale batteva la propria insegna, il  Warspite, in testa e le altre due corazzate  Malaya e Royal Sovereign, assieme alla portaerei Eagle, arretrate. Quest’inutile comunicazione fu intercettata e decrittata dal Reparto Informazioni della Regia Marina per le prime ore del 6 luglio (vedi il documento originale qui riprodotto  doc A) fornendo, in tal modo, al Comando Centrale (SUPERMARINA) tre giorni di vantaggio spesi per fare arrivare, innanzitutto, un grosso convoglio d’importanza decisiva in Libia (portava gli unici carri armati dotati di cannone del Regio Esercito esistenti, all’epoca, in Italia: 72 in tutto!) e per organizzare una trappola.

 

        [si tratta di un elenco di navi della Mediterranean Fleet, non troppo preciso nella ripartizione delle forze che dovevano prendere parte ad una certa Operazione M.A.5, il cui scopo non era conosciuto. I campiti di quella forza navale potevano essere di qualsiasi tipo, e ciò non fu compreso, anche se da Berlino giunse a Supermartin un messaggio dei crittografi della Marina Germanica che, aggiunti a vari indizi dei crittografi di Maristat, indicò che l’obiettivo del nemico, per le posizioni che la flotta britannica doveva raggiungere, era un attacco contro la Sicilia, mentre invece il compito principale del nemico era quello di prelevare e scortare ad Alessandria due convogli, con personale militare e civile da evacuare dall’Isola.]

 

Su decisione di Mussolini in persona [non è provato, lo Studio fu pianificato dal Comando Supremo anche se Mussolini ne era informato] fu stabilito che i bombardieri della Regia Aeronautica avrebbero attaccato per primi, assicurando in tal modo una possibilità alle due corazzate  Cesare e Cavour italiane, più piccole delle navi da battaglia avversarie e notoriamente incapaci, coi loro cannoni da 320 mm, di perforare le corazze verticali e orizzontali delle unità britanniche, laddove un solo colpo da 381 mm di una delle tre navi di linea della Royal Navy avrebbe potuto distruggerle, proprio come era capitato al Bretagne appena 72 ore prima.

 

        [E’ una considerazione dell’Autore che non regge. I proietti da 320/44 m/m delle “Cavour” pesano 525 chili, e visto cosa fu capace di fare alla WARSPITE, a Creta il 22 maggio 1941, una bomba da 250 chili, mettendola fuori combattimento per 7 mesi, è da ritenere che su quelle vecchie navi da battaglia britanniche, lente e vulnerabilissime in particolare la ROYAL SOVEREIGN, un solo colpo da 320, colpendo su un punto vitale con fortissimo impatto, avrebbe fatto molto più danno.]

 

Quando arrivò il 9 di luglio gli aerei italiani non avvistarono alcunché per tutta la mattina e il primo pomeriggio mentre i britannici furono abbastanza ben serviti sia dai propri ricognitori imbarcati sulla portaerei sia dai grossi idrovolanti Sunderland di base a Malta.

Il Comandante Superiore in mare italiano, l’ammiraglio Inigo Campioni, apprezzò correttamente, nonostante ore e ore di assoluta mancanza di notizie, la situazione disponendo gli incrociatori pesanti della II Squadra dell’ammiraglio Riccardo Paladini in quella che giudicò essere la direzione di marcia più probabile del nemico. Finalmente, alle ore 13.30, un idrovolante Cant Z 501, lento e maturo, della Ricognizione Marittima intento in un normale pattugliamento antisom avvistò, per caso, la Mediterranean Fleet. Subito le squadre diressero l’una contro l’altra. Alle 15.05 l’VIII Divisione Incrociatori (Garibaldi e Abruzzi) avvistò l’avanguardia nemica, ovvero i quattro incrociatori dell’ammiraglio John Tovey. Tre minuti dopo fu la volta degli inglesi. Alle 15.20 i due incrociatori italiani aprirono il fuoco. I britannici replicarono alle 15.22, ma già alle 15.23 l’incrociatore Neptune lamentò alcuni danni per colpi caduti vicini

 

        [una salva da 152 degli incrociatori GARIBALDI e ABRUZZI cadendo vicino allo scafo del NEPTUNE incendio sulla catapulta l’aereo da ricognizione Walrus che fu gettato in mare, ma l’incrociatore non riportò alcun danno.]

 

e il 7th Cruiser Squadron di Tovey accostò in fuori, mentre il Warspite accorreva lasciando indietro le altre, più lente, navi di linea inglesi. I resoconti britannici parleranno poi di un’inevitabile ritirata davanti a quattro incrociatori pesanti italiani, ma in realtà si trattava di soltanto di incrociatori leggeri cui si aggiunsero, da un altra direzione, alle 15.27, i parimenti leggeri (e notoriamente sprotetti) Da Barbiano e Di Giussano della IV Divisione (Ammiraglio Alberto Marenco di Moriondo).

Alle 15.26 il Warspite aprì il fuoco (protratto fino alle 15.36) contro, alternativamente, le due divisioni di incrociatori italiani, essendo “urgentemente necessario alleggerire i miei incrociatori, inferiori di numero” come avrebbe scritto in seguito lo stesso Cunningham. Nonostantele altissime colonne d’acqua che le circondavano, le unità italiane replicarono contro i sempre più lontani incrociatori avversarie contro la stessa corazzata nemica fino alle 15.39 per poi allontanarsi “con brillante manovra” dopo aver segnalato costantemente la rotta, la velocità e la composizione della squadra nemica permettendo, in questo modo, alle due corazzate della Regia Marina e agli incrociatori pesanti della II Squadra di assumere la formazione e la direzione migliore per intercettare il grosso della Mediterranean Fleet. Di aerei italiani in volo, fatta eccezione per i piccoli ricognitori biplani Ro.43 imbarcati e catapultati dagli incrociatori, nessuna traccia. Campioni affrontò, a questo punto, la battaglia confidando in un solo vantaggio: la velocità di 25 nodi delle sue navi di linea, fattore questo che avrebbe dovuto permettergli di manovrare opportunamente e di mantenere le distanze rispetto ai grossi calibri avversari.

 

        [la CESARE, lasciando un po indietro la CAVOUR, andò al combattimento alla velocità di 27 nodi, come ha scritto in un suo lavoro inedito l’ammiraglio Giuseppe Fioravanzo]

 

Alle ore 15.49, al grido regolamentare di “Viva il Re!” le corazzate italiane aprirono il fuoco. Il Cesare, nave ammiraglia, contro il Warspite, battuto a 29.000 metri, il Cavour contro l’ancor più distante (30.000 m) Royal Sovereign (poi sopravanzato dal Malaya) sparando “sui tacchi”. Tiro lento (le navi italiane ci mettevano un minuto per ricaricare, quelle inglesi, più grosse, 30 secondi circa) cui si aggiunse, alle 15.55, su iniziativa dell’ammiraglio Carlo Cattaneo, comandante la III Divisione, quello dell’incrociatore pesante Trento, ultima unità della II Squadra e a portata, sia pure ai limiti (26.000 metri) e solo per quattro minuti, della corazzata di testa inglese.

 

         [E’ scritto in un documento inedito dell’Ufficio Storico della Marina Militare: Il tiro del CESARE fu rapidamente portato a cavallo. La prima salva cadde in cursore corta. Fu allungata di 600 metri: la salva corta del secondo gruppo scalata cadde a cavallo e probabilmente con colpi utili: il tiro fu accorciato di 400 e si passò al fuoco celere, sparando non più per gruppi ma ogni qualvolta erano pronte o una torre trinata o due torri binate. Nonostante le contrarie affermazioni inglesi si ha ragione di ritenere che altri colpi siano caduti sul bersaglio.]

 

Il Trento era però il campione di tiro della flotta [sic], oltre che l’unità dotata delle più moderne apparecchiature di punteria generale in quanto destinata a fare da banco di prova delle nuove versioni dei telemetri man mano entrati in servizio. [sic] Alle 15.57 (a bordo del Warspite non si erano neppure accorti di essere anche sotto il fuoco di quell’incrociatore) le prime tre salve di granate da 203 mm dell’unità di bandiera di Cattaneo si abbatterono intorno all’ammiraglia della Mediterranean Fleet. Le salve furono giudicate “extremely accurate” e le navi italiane avvistarono un colpo a segno, a poppa, di quella nave da battaglia e un piccolo incendio. I britannici hanno sempre negato una simile circostanza.

 

        [E tutto errato, nel corso della battaglia non vi fu alcun colpo a segno sulla WARSPITE o su qualcuna delle altre navi britanniche. La giustificazione della distruzione dell’intero convoglio “Duisdburg” (sette mavi mercantili e un cacciatorpediniere della scorta diretta), la notte del 9 novembre 1941 con tiro dei cannoni da 203 degli incrociatori TRIESTE e TRENTO iniziato a 10.000 dalle unità nemiche e proseguito fino alla distanza di 17.000 senza riuscire a colpire il bersaglio, costituito da quattro navi britanniche (incrociatori leggeri AURORA e PENELOPE e cacciatorpediniere LANCE e LIVELY), fu addebitata nelle varie relazioni ai  telemetri  a coincidenza degli incrociatori TRIESTE e TRENTO che erano troppo vecchi, lenti e imprecisi, come è chiaramente dimostrato nel mio saggio  “Il disastro del convoglio Duisburg”. Parte prima: “L’invio a Malta della Forza K e la pianificazione del convoglio Beta da parte dei Comandi italiani”. Parte seconda: “Lo scontro notturno”, Bollettino d'Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare, Settembre – Dicembre 1996.

         Altro che telemetri meraviglia quelli del TRENTO!  Le navi britanniche neppure si accorsero di essere sotto il tiro di incrociatori, ma le ritennero provenienti da cacciatorpediniere. Ho fatto allora questa amara considerazione: "Ma dove cadevano le nostre salve". Tuttavia, per contentino orchestrato, e stato reclamizzato  che nell'occasione del tiro del TRIESTE e del TRENTO  una scheggia di un proiettile colpì al fumaiolo il cacciatorpediniere LIVELY forandogli in fischio!, in modo da dimostrare che il tiro italiano era caduto a cavallo delle navi nemiche. Per la cronaca,  complessivamente il TRIESTE sparò 119 proietti da 203 mm e 82 proietti illuminanti da 100 mm, mentre il TRENTO consumò 81 granate perforanti da 203 mm, e 60 proietti illuminanti (8 da 120 mm e 52 da 100 mm), che servirono quali telemetri per le granate da 203  di cui gli incrociatori erano sprovvisti. Nessun colpo a segno, eppure il tiro era iniziato alla distanza favorevole di meno di 10.000 metri, e la visibilità di quella notte fu considerata ottima. Ma anche in  questa occasione, solo buchi nell’acqua.]

 

ll rapporto di navigazione del Warspite evidenzia a sua volta (vedi l’immagine relativa doc B, C, D), per le ore 16.00 alcuni fatti strani:

 

A) un’accostata di venti gradi che impedì, per il seguito, alle due torri poppiere di grosso calibro della nave di continuare a prender parte all’azione e che fece assumere a quella corazzata (e alle due pari categoria che la seguivano) una rotta divergente rispetto alla formazione italiana (gli italiani scrissero, in quel momento “gli inglesi accennano a ritirarsi”).

 

        [La volta tonda, spesse volte attuata durante i combattimenti navali - vedi l’ammiraglio Campioni a Capo Teulada – fu fatta da Cunningham per farsi raggiungere prima del contatto balistico dalle altre sue due corazzate, e lo stesso fece l’ammiraglio Tovey, ad imitazione della manovra della nave ammiraglia, per non distaccarsi troppo dalla WARSPITE che seguiva la sua divisione incrociatori [7a] e trovarsi poi impegnata con un nemico superiore. La volta tonda, o un temporaneo cambiamento di rotta e riduzione di velocità, avrebbe dovuto farla anche l’Ammiraglio Campioni per permettere agli incrociatori pesanti, che nel corso di una manovra a un tempo (180°) erano rimasti di poppa alla CESARE, di portarsi a prora della corazzata al momento in cui ebbe inizio il tiro delle nostre navi da battaglia, sostenendole all’inizio del combattimento con i loro cannoni da 203 m/m. Lo fecero con cinque minuti di ritardo e pertanto non dettero alle corazzate italiane alcun aiuto perche, rimasta colpita la CESARE, esse si stavano ritirando.

        Dopo aver colpito la CESARE, vedendo le navi italiane cambiare rotta e fare fumo, alle 16.02 anche la WARSPITE cambio rotta per 310° alla velocità di 17 nodi. Poi, alle 16.04, con le unità italiane oscurate in una vasta cortina di fumo e nebbia artificiale, la WARSPITE , che aveva sparato diciassette salve, cessò il fuoco. Alle 1606 intervenne la MALAYA, che trovandosi per 180 ° di poppa alla WARSPITE, sparò quattro salve contro le corazzate italiane che risultarono corte. Alle 16.08 la MALAYA  sparo  altre tre salve, che caddero anch’esse corte. Quindi alle 16.09 la WARSPITE (perfettamente indenne) apri nuovamente il tiro su un incrociatore pesante italiano, apparso davanti alle corazzate, per 313° e alla distanza di 24.600 yard.]

 

 B) un ordine di aumentare la velocità da 15 a 17 e, poi, addirittura a 20 nodi, fatto questo chiaramente impossibile con macchine a vapore, dato il concreto ri-schio, in quelle condizioni, di sbiellare, tant’è vero che l’aumento reale registrato fu, alla fine, di sole 17 miglia, raggiungendo, infine i 20 nodi in parola soltanto alle 17.23. Inoltre vale la pena di notare che alle 15.57 i collegamenti radio del Warspite con il proprio idrovolante in volo cessarono fino alle 16.01. Ripristinati con un’antenna di bambù di fortuna per le 16.01 furono nuovamente compromessi, secondo la relazione britannica originaria, alle 16.02, ossia nell’istante in cui, come disse poi il Direttore del tiro del  Cesare, comandante Cipollini, “Gli abbiamo dato una zampata anche noi” con una salva lunga da 320 caduta in prossimità della corazzata di testa inglese. Cunningham rimase così privo di informazioni dai propri aerei fino alle 16.47. Le antenne in questione erano collocata all’altezza del pennone dell’albero poppiero.

 

        [se l’Autore parla di manovre e difficoltà di vario genere a bordo della nave Ammiraglia britannica, lo deve provare e farci sapere quale è la fonte. Speriamo che sia di un documento ufficiale.]

 

Alle 15.59 l’ultimo proietto tirato quasi un minuti prima dal Warspite prima di accostare colpì il fumaiolo poppiero del Cesare. I danni furono apprezzati come non gravi nel giro di un paio di minuti poiché la spoletta della palla perforante da 381 era detonata dentro la ciminiera senza attraversare i ponti sottostanti.  A questo punto le versioni italiana e inglese divergono nettamente. I britannici dissero, dopo la guerra, che la Squadre avversarie si ritirarono subito dopo.

 

         [Non è esatto, furono gli italiani a ritirarsi dietro una cortina di fumo fittissima stesa da incrociatori e cacciatorpediniere per coprire le nostre corazzate. Le navi inglesi mantennero le posizioni, ma saggiamente, temendo di cadere in una trappola di cacciatorpediniere e sommergibili, non superarono quella cortina.]

 

I rapporti di missione delle unità italiane affermano, invece, che le due corazzate di Campioni continuarono a sparare fino alle 16.08, quando cioè la cortina fumogena stesa dai caccia Freccia e Saetta dalle ore 16.03 (dopo che il fumo di un incendio aveva costretto il Cesare a spegnere momentaneamente quattro caldaie scendendo, nel giro di cinque minuti, da 25 a 18 nodi) aveva raggiunto una consistenza tale da occultare alla vista reciproca le due divisioni di navi da battaglia.

I rapporti di missione originali britannici (e non la relazione posbellica) affermano, a loro volta, che il tiro del Warspite (giudicato ormai lento e impreciso da parte degli italiani) cessò alle 16.03.Inquello stesso minuto incominciò a sparare, per la prima volta quel giorno, il Malaya, ormai seconda unità della linea avversaria. Essendo a ben 28.600 metri dalle corazzate italiane, ovvero ad almeno 5.000 m oltre al portata dei propri pezzi di grosso calibro (non ammodernati come quelli della propria nave ammiraglia) si trattò, naturalmente, di un fuoco del tutto inefficace protratto fino alle 16.07 al solo scopo di coprire la nave di bandiera di Cunningham, evidentemente in difficoltà.

 

         [E difficile stare dietro alle tante inesattezze dell’Autore. Per quale motivo la WARSPITE sarebbe stata in difficoltà se non era stata raggiunta da alcun colpo a bordo né da schegge].

 

Sempre alle 16.07 i Ro.43 segnalarono che le corazzate inglesi avevano rotto la formazione e si stavano allontanando. Nel frattempo aveva avuto luogo, a partire dalle 15.58, un rinnovato scontro tra gli incrociatori delle due avanguardie. L’ordine, trasmesso alle 16.03, di accostare in fuori per seguire le corazzate italiane, ormai prive del vantaggio assicurato dalla propria superiore velocità, non interruppe il rispettivo cannoneggiamento a lunga distanza protratto, attraverso gli squarci delle cortine fumogene, con poche conseguenze per parte (danni minori all’incrociatore Bolzano e ai caccia  Alfieri, Freccia, Nubian e Hero)

 

         [Riportarono danni per colpi di cannone il BOLZANO e l’ALFIERI, il FRECCIA fu mitragliato da un aereo. Il NUBIAN e l’HERO non riportarono danni, come risulta nell’elenco "ADM 234/444: H.M. Ships damaged or sunk by enemy action 3 Sept. 1939 to 2 Sept. 1945", compilato nel dopoguerra dall’Ammiragliato britannico, e che l’Autore conosce bene avendolo più volte citato in altre pubblicazioni.]

 

fino alle 16.20. Già alle 16.01, ad ogni modo, nuovi danni al Neptune e al Liverpool [assolutamente inesistenti] avevano costretto la divisione Tovey ad accostare in fuori dividendosi in due tronconi rimasti separati per venti minuti, tanto da costringere Cunningham a inviare all’attacco, sempre alle 16.01, i propri cacciatorpediniere disponendo che gli tagliassero pure la rotta alla massima velocità pur di aiutare gli incrociatori del 7th Cruiser Squadron in difficoltà.

 

         [No, Cunningham aveva ordinato alle sue tre Squadriglie di cacciatorpediniere di riunirsi a prora delle corazzate pronte a partire, agli ordini del NUBIAN, per un eventuale attacco silurante, prevedendo che i cacciatorpediniere italiani, per coprire la ritirata della CESARE che era stata colpita, e della CAVOUR  avrebbero diretto all’attacco contro le corazzate britanniche.]

 

Seguì una fase piuttosto confusa caratterizzata da un’azione di fuoco dell’ammiraglia inglese contro il caccia Janus, preso a bersaglio dal secondo Direttore del tiro “perché proveniente da una direzione inattesa” e da una mancata collisione, evitata di stretta misura alle 16.20, tra il Warspite e il caccia Decoy.

 

        [L’Autore, per essere chiaro, dovrebbe dirci dove ha trovato queste notizie che non appaiono in nessuno dei principali Rapporti britannici. Magari riportando il testo originale, come sempre faccio io, in modo che nessuno possa contestarmi.]

 

Mentre i caccia britannici arrancavano, senza arrivare a portata di lancio per tutto il corso della battaglia, sparando in una maniera definita, in seguito, lenta e “completely ineffective”, le analoghe unità sottili della Regia Marina andavano all’attacco, dalle 16.05 “in maniera perfetta, come se fosse un’esercitazione”, come scrissero gli inglesi, “utilizzando in maniera abile e impressionante le cortine fumogene” unendosi al tiro degli incrociatori.

Di speranze di mettere a segno un siluro, in pieno giorno, non era neppure il caso di parlarne, ma gli attacchi delle squadriglie (complessivamente 12 caccia) si susseguirono fino alle 16.22. Dal registro dei segnali della Mediterranean Fleet sappiamo che Cunningham, dopo aver avvistato i caccia italiani all’attacco, trasmise il messaggio “Impegnate i cacciatorpediniere nemici il prima possibile” alle 16.09, 16.11, 16.12, 16.13, 16.14, 16.16, 16.19 e alle 16.20. [Non mi risulta! Occorre conoscere la fonte!]

 

        [i cacciatorpediniere italiani (cinque squadriglie con 16 Ct.) non andarono all’attacco in maniera perfetta, e alcuni non lanciarono affatto i siluri, e tutti quelli che lo fecero, lanciarono da grande distanza, cosicché, con poche eccezione, i comandanti furono criticati nei rapporti dei loro Comandanti in Capo della 1a e 2a Squadra Navale (Campioni e Paladini). Nelle relazioni postbelliche dell’Ufficio Storico della Marina appare chiara questa delusione, mentre dall’altra parte Cunningham si dimostrò fiero del comportamento delle sue unità siluranti]

 

Lo stesso documento riporta il segnale “Dov’è la flotta nemica?” trasmesso in continuazione dalla nave ammiraglia accecata inglese [sic, per cosa ?] dalle 16.10 in poi senza esito fino al punto di lanciare nell’etere, alle 17.23, un perentorio “Fate silenzio radio” a tutte le unità della Mediterranean Fleet nel tentativo di mettere finalmente ordine alla Babele incominciata un’ora e mezzo prima.

 

         [L’Autore deve spiegarci dove stava tutta quella Babele. Mostri il Documento!  E’ Incredibile che uno o più proietti da 381 m/m di una salva caduta a 400 yard (366 metri) di distanza dalla WARSPITE abbia causato a bordo tutto quel pandemonio. Nessun proiettile esploso sott'acqua avrebbe potuto proiettare schegge tanto lontane da colpire la corazzata, soprattutto se la scheggia era grossa e pesante come sostiene l’Autore.]

 

In effetti i guai del Warspite non erano ancora finiti perché alle 16.12 a bordo avevano visto fiorire, inaspettatamente, alcune colonne d’acqua a meno di dieci metri dalla prora di quella nave. Si trattava del tiro dello Zara, il quale sparò sei salve fino alle 16.17 attraverso uno squarcio nelle cortine fumogene. Il comando della  corazzata britannica (convinto di essere sotto il tiro delle due “Cavour” nonostante la ben diversa altezza e durata delle colonne d’acqua causate dei proietti da 320 e 203 mm, pari rispettivamente a 60 metri e 10 secondi contro 48 m e 6,5 secondi) accostò subito in fuori, senza replicare, mentre il Malaya si incaricò, ancora una volta, di difendere, lui pure fino alle 16.17, la propria ammiraglia, peraltro senza conseguenze di sorta [sic].

 

        [Perché tante cattive inesattezze e tanto astio nei confronti della WARSPITE e del Comandante in Capo britannico?]

 

Dopo due falliti attacchi di aerosiluranti decollati dalla portaerei Eagle sferrati contro gli incrociatori della III Divisione alle 13.30 e alle 16.05, Cunningham giunse, a sua volta, alla medesima conclusione in quello stesso minuto, tanto più che sempre alle 16.45 erano stati avvistati i primi bombardieri italiani. Seguirono, tra le 16.50 e le 21.10, una serie di attacchi aerei, condotti da pattuglie di tre quattro aerei per volta, i quali sganciarono imparzialmente contro le navi della Royal Navy e della Regia Marina causando danni minori da schegge agli incrociatori Gorizia, Cadorna e Gloucester (quest’ultimo già colpito in pieno, il giorno precedente, da uno dei trimotori decollati da Rodi).

 

         [Non risulta che il GLOUCESTER abbia riportato altri danni dopo quelli della bomba da 100 chili sganciata da un S. 79 il precedente 8 luglio a sud di Creta.]

 

Allo scopo di mettere le mani avanti Cunningham trasmise all’Ammiragliato, alle ore 9.50 del 10 luglio, il seguente messaggio “In caso di rapporti menzogneri italiani, non ci sono state perdite umane o danni durante l’azione di ieri” (vedi il riquadro a fianco doc E, F).

 

        [il testo esatto è il seguente, e non fu fatto per mettere le mani avanti ma soltanto per confermare all’Ammiragliato che le sue navi nel combattimento del 9 luglio non aveva subito alcuna perdita:

        682. In case of Mendacious Italian report, there were no casualties or damage in yesterdays action. – 0950/10]

 

Una settimana dopo, però, il Terzo Lord del Mare, data la propria responsabilità in capo al materiale della Marina britannica, sollecitò informazioni circa il conto dei danni (e delle necessarie riparazioni) sottopostogli. La risposta, riprodotta a pagina 30, conferma i danni a bordo del Warspite. Analoghi documenti furono poi prodotti in merito ai danni da schegge, sia all’opera morta sia all’opera viva, lamentati, il 9 luglio, dal Malaya e dal Royal Sovereign in seguito a colpi caduti vicini (“near miss”) tirati dal  Cavour.

 

        [in realtà si trattava di danni causati da bombe dell’Aeronautica Italiana. L’8 luglio una bomba da 100 chili cadde vicino alla WARSPITE e un’altra bomba da 250 chili vicino alla MALAYA. Attacchi portati dagli S. 79 degli Stormi  dell’Aeronautica  della Libia. Il 12 luglio una bomba da 250 chili cadde vicina alla WARSPITE, causando i danni riportati dal Dott. Cernuschi, come risulta dal “H.M. Ships Damaged or Sunk by Enemy Action”, che egli possiede da parecchi anni avendolo acquistato a Londra in una bancarella, e che io ho in fotocopia. E’ tutto specificato da documenti inattaccabili e non si può sbagliare!]

 

Anche questa parziale ammissione fu peraltro coperta, per pudore, attribuendo i danni in questione a bombe italiane, e non ai cannoni della Regia Marina, scelta questa imposta dalle direttive impartite, nel frattempo, dal Ministery of Information (il dicastero della propaganda britannico) incaricando, per l’occasione, il grande romanziere Cecil Scott Forester, l’autore delle celebri avventure del Comandante Hornblower, di redigere un rapporto rassicurante in merito a quella battaglia appena combattuta nel Mediterraneo. Sfortunatamente sia il Bombing Summary dell’Action of Calabra (come gli inglesi chiamano Punta Stilo) sia i singoli Records of Air Attacks della Mediterranean Fleet redatti tra l’8 e il 12 luglio 1940 e riportati qui sopra negano qualsiasi danno da bombe oltre a quelli, già noti, patiti dal Gloucester il giorno 8. Insomma,come si dice in Veneto, pèso el tacòn del buso.

 

        [Non è possibile raccontare tante inesattezze.  L’Autore deve provare quello che scrive citando i documenti! Anche in  Forum  di Internet  é stato più volte chiesto all'Autore di mostrare i documenti delle sue scoperte, ma i riferimenti da lui dichiarati, controllati al National Archives di Londra, sono in parte risultati inesatti.]

 

Forester cercò, a sua volta, di metterci una pezza attribuendo allora e in seguito l’incendio osservato dagli italiani a poppa del Warspiteall’incendio dell’idroricognitore di quella nave, poi gettato a mare, provocato dalle vampe delle torri poppiere di quella stessa corazzata. Peccato che l’ora (15.27) indicata dagli inglesi in merito all’incidente in questione corrisponde, casomai, al centro rivendicato dal Di Giussano contro la corazzata inglese e non a quello del Trento e che, soprattutto, quel giorno la nave ammiraglia britannica disponesse di un solo velivolo, regolarmente catapultato alle 15.48, come osservato anche da bordo delle unità della Regia Marina, e ammarato, in seguito, a Malta.

 

         [sbagliato.  La prima salva della Warspite, che causò le avarie al velivolo Walrus della corazzata con il tiro della seconda torre (X) sopraelevata da poppa, fu sparata alle 15.53 (15.58 nei rapporti italiani), e per gettare in mare il grosso velivolo ci sarà voluto qualche tempo, il che ci porta alle 15.59 quando fu visto il fumo blu, e ciò conferma che non avvenne assolutamente alle 15.27. Inoltre faccio notare che la WARSPITE aveva due catapulte dietro la torre X con due aerei da osservazione Walrus, uno dei quali decollo a destra della corazzata poco prima che iniziasse il combattimento navale per fornire informazioni sullo schieramento delle navi italiani, cosa che fece egregiamente.

        Occorre saper leggere e bene interpretare i rapporti ufficiali e avere meno fiducia, direi molto scarsa, su quanto viene discusso in Internet dove tutti si considerano esperti, e possono passarti informazioni ritenute esatte ma molte volte false, e quindi dannose se non ben controllate su dati ufficiali.]

 

Lo studio delle matricole militari degli idrovolanti Swordfish conferma, infine, che nessun velivolo di quel tipo andò perduto quel giorno. Ultimo e non ultimo, l’incidente del velivolo incendiato (ma non distrutto) si verificò effettivamente il 9 luglio 1940, ma a bordo del Malaya, alle ore 15.21. I danni da schegge (alcune grosse come un pallone da calcio) registrati a bordo del Warspite, infine, coincidono, a poppa, con il cono dell’esplosione di una granata da 203 mm esplosa centrando l’albero poppiero di quella nave inutilizzando (come recita il rapporto inglese) l’impianto binato poppiero da 102 mm, il complesso d sei canne da 40 mm poppiero di dritta, i due complessi antiaerei da 12,7 sul cielo della torre X e la gru di sinistra, oltre a guasti minori. I danni, parimenti ammessi in sede tecnica, verificatisi a prora e in plancia (attribuiti, in seguito, dai britannici a un’altra bomba aerea, caduta questa volta il 12 luglio senza essere ricordata, essa pure, nei Bombing Survey e dagli stessi italiani) sono, viceversa, da attribuire al near miss del Cesare delle 16.02 e, soprattutto, a un analogo colpo da 203 mm dello Zara caduto a meno di dieci metri dall’ammiraglia inglese alle 16.18.

 

         [il fumo blu. Si tratta del fumo della benzina (bluastro) dell’aereo della Warspite gettato in mare alle 15.59, che, come detto, era stato precedentemente  danneggiato dalla vampa della prima salva sparata dalla Warspite (torre X) contro la CESARE. Evidentemente cadendo in acqua il danneggiato velivolo, che perdeva evidentemente benzina, prese fuoco sul fianco della corazzata dando l’impressione che fosse stata colpita.]

 

I danni causati minori da bombe italiane alla portaerei Eagle (8 luglio), al caccia Vampire e al piroscafo Novasli (11 luglio), sono invece noti, anche se ci è voluto mezzo secolo per acclararli.

 

        [il VAMPIRE riportò alcuni danni dagli attacchi aerei, tanto che fu sostituito nellla scorta al convoglio M.S.1 da un altro cacciatorpediniere. Ma i danni erano non gravi, come lievi risultarono quelli della EAGLE, che aveva da tempo difetti alle caldaie per la sua anzianità . Non mi risultano i danni del piroscafo NOVASLI, forse colpito da qualche scheggia.

         Sui danni al VAMPIRE ecco la mia ricostruzione, inserita nella stesura in corso della 3a Edizione di “La Battaglia di Punta Stilo”.:

        “Il convoglio M.S.1 fu attaccato quattro volte, ma nessuna delle navi fu danneggiata, e vi fu una sola perdita umana, l’ufficiale responsabile della direzione del tiro del cacciatorpediniere VAMPIRE  John Henry Endicott, che colpito da una scheggia di una bomba caduta vicino al cacciatorpediniere ( il quale riporto alcuni danni per concussione e schegge) mori dopo il suo trasferimento sul MOHAWK. Fu la prima perdita umana della Marina australiana nella seconda guerra mondiale. Il convoglio M.S.1 fu raggiunto dalla WARSPITE alle 15.00, e al JANUS fu poi ordinato di sostituire il VAMPIRE di nella  scorta a quel convoglio lento. Rientrato ad Alessandria e riparati i danni, il VAMPIRE tornò in mare il 23 luglio assieme al cacciatorpediniere VENDETTA e all’incrociatore ORION  per un’azione di diversione presso l’isola italiana di Castelrizzo, facente parte del Dodecaneso. Per scrivere correttamente la Storia bisogna conoscerla bene!]

 

Data la confusione che regnava nella formazione inglese Cunningham proibì, dapprima, alle 16.56, alla squadriglia guidata dal caccia australiano Stuart di attraversare la cortina fumogena italiana disponendo, in seguito, che fossero i grossi e moderni cacciatorpediniere della 14th Flotilla e non gli incrociatori, ancora frammischiati tra loro, a portarsi in franchia delle cortine per comunicare, finalmente, la rotta e la posizione della squadra nemica.

 

        [Evidentemente nel caso dello STUART dovremmo chiede spiegazioni agli Australiani, da cui l’Autore ha preso lo spunto (Internet !)].

 

Giunte, finalmente, in una zona libera dal fumo, quelle quattro siluranti trasmisero, alle 17.00, che nulla era in vista. In seguito la storia ufficiale inglese avrebbe parlato di un inseguimento del nemico in fuga fin sotto le montagne della costa calabra, ma  sia i rapporti della 12ª Squadriglia, sia quelli della Royal Australian Navy sia le numerose segnalazioni fatte dei ricognitori aerei britannici della Royal Navy e della Royal Air Force (regolarmente trasmesse, ma non ricevute dal Warspite) confermano tutti la direttrice di marcia sud, verso Malta, della Mediterranean Fleet.

 

       Riporto quale fu la manovra effettuata dalla WARSPITE, perché sia chiaro:

       Scrisse l’ammiraglio Campioni,“in una intensissima azione di fuoco celere e preciso dalle due parti ... l’unità capo fila avversaria è sembrata colpita a poppa dalla quarta salva del CESARE e da allora ha sparato con le soli torri di prora”. 

       La valutazione britannica è alquanto differente, poiché, poiché come riportano, oltre alla Relazione dell’ammiraglio Cunningham del 29 gennaio 1941, uno Studio inedito dell’Ammiragliato e il fondamentale Battle Summary n. 8, il tiro italiano, “risultò moderatamente accurato dato che la maggior parte delle sue salve cadde entro i 1000 yard dal bersaglio, alcune a cavallo ma quasi tutte alquanto disperse: una salva molto raggruppata cadde a circa 400 yards [366 metri] di prora a sinistra della WARSPITE”. Quindi, nessun colpo a segno, ma tutti caduti distanti, smentendo coloro che, essendo imbarcati sulla Cesare e su altre navi italiane, compreso il comandante Ciurlo e il 1° Direttore del Tiro Cipollini, ritennero che l’obiettivo era stato colpito; cosa a cui si crede ancora oggi nonostante quanto scritto da Cunningham e dell’abbondante documentazione d’archivio disponibile. …

        Alle 16.00 gli idrovolanti da ricognizione Ro. 43 del Da Barbiano e del Garibaldi segnalarono “Il nemico ha invertito la rotta”. La manovra notata anche dal telemetro (APG) dell’Abruzzi fu erroneamente interpretata come se il nemico si ritirasse in seguito al danneggiamento di qualche grossa nave, contribuendo a far crede ancora oggi che ciò fosse dipeso da un colpo messo a segno dalla CESARE sulla WARSPITE”.

        La manovra di Cunningham con rotta nord fu realizzata dopo che le navi da battaglia italiane erano scomparse nella cortina di fumo stesa dai nostri cacciatorpediniere, e che l’ammiraglio, saggiamente evitò di attraversare temendo di cadere una trappola con siluranti e sommergibili, come aveva interpretato dalle segnalazioni arrivate dai suoi crittografi di bordo. Esisteva, infatti, un sbarramento di cinque nostri sommergibili orientato verso la Sicilia (da dove si attendeva l’arrivo del nemico che poi sarebbe arrivato da nord alle spalle della Flotta italiana), e quindi troppo distante dalla zona di combattimento. Ma che i sommergibili fossero tanto distanti da non impensierirlo, Cunningham non lo sapeva.

        A Punta Stilo nessuna nave britannica aveva il radar, e volendo impedire alle navi italiane di dirigere verso Taranto, che ancora non avevano assunto visibilmente la rotta sud verso lo Stretto di Messina, con quella manovra per nord-ovest, che avrebbe tagliato la rotta alle nostre navi e permesso di riprendere il combattimento, Cunningham si porto fino ad avvistare le montagne della Calabria, alla distanza di 25 miglia dalla costa. Fatto che poi fu chiaramente riportato dalla Stampa britannica, e che ancora oggi è sottolineato in libri e articoli di oltre Manica e paesi anglosassoni.

        La mia opinione: A differenza degli ammiragli Campioni e Paladini che fecero di tutto per sbagliare (è impressionante quanto su ciò ha scritto l’ammiraglio Fioravanzo in un suo studio inedito per l’Ufficio Storico su Punta Stilo che riporterò nella terza edizione del mio libro), quasi fossero dei dilettanti, gli ammiragli Tovey (poi Comandante in Capo della Home Fleet e affondatore della BISMARCK) e Cunningham furono perfetti nelle loro manovre e non sbagliarono nulla, neppure minimamente. Frutto degli apprendimenti d’anteguerra, sperimentati in una Marina che può vantare  400 anni di combattimenti navali ad alto livello, mentre noi nel 1940, avevamo solo Lissa!

 

       Per le 16.45 il Cesare era tornato a sviluppare 25 nodi, ma Campioni giudicò che il nemico era ormai troppo lontano, apprezzando altresì il fatto che doveva aver riportato, tra le 15.57 e le 16.07 danni tali da non voler più proseguire l’azione.

 

        [i danni risultarono meno gravi del previsto ma Campioni decise di continuare a ritirarsi verso Messina. Qualcuno all’epoca, vedendo tante navi avvicinarsi allo Stretto in modo caotico, la considerò una fuga precipitosa.]

 

In conclusione l’ammiraglio Cunningham scrisse, in sede di re-dazione del proprio rapporto finale, che l’esito dell’azione del 9 luglio 1940 fu “disappointing”, ovvero deludente, e che “...l’Ae-ronautica e i sommergibili italiani non potevano impedire alla Mediterranean Fleet di penetrare nel Mediterraneo Centrale, soltanto la loro Squadra da battaglia può interferire seriamente con le nostre operazioni in quel bacino”. In effetti, la flotta inglese rimase assente da quelle acque per tre anni esatti di fila, fino al giorno, cioè, dello sbarco in Sicilia.

 

        [Quest’ultima frase (commento dell’Autore), è una inesattezza, dato che in taluni periodi della guerra le navi inglesi, anche dopo l'arrivo dell’arrivo in Sicilia della Luftwaffe, si spingevano in continuazione nel Mediterraneo Centrale, tanto da bombardare con le loro corazzate Durazzo (20 dicembre 1940, Genova (9 febbraio 1941), Tripoli (21 aprile 1941) e scorrazzare, con la Forza K di Malta, contro i nostri convogli a loro piacimento. Fu soltanto dopo il salasso di Creta (maggio 1941) che la Mediterranean Fleet, che non possedeva più una portaerei dopo che la Luftwaffe aveva danneggiato gravemente la FORMIDABLE, rimase confinata fino al dicembre 1941 nelle acque del Mediterraneo orientale, per poi, mancando anche di corazzate, riprendere saltuariamente la propria attività scortando convogli diretti a Malta soltanto con pochi incrociatori leggeri e cacciatorpediniere. Soltanto in un'occasione, Battaglia di Mezzo Giugno 1942, le navi britanniche dovettero ritirarsi per l'intervento della flotta italiana con le due corazzate LITTORIO e VITTORIO VENETO.]

 

La Royal Navy si ridusse, invero, fino a quell’invasione, a condurre una mera guerriglia, sia pure di lusso, a base di sommergibili, aerei, mine e, talvolta, divisioni leggere di incrociatori e caccia, contro i convogli italiani per l’Africa Settentrionale. Subì, nel corso di quella lunga e dura campagna, gravi perdite senza impedire all’83,99% dei materiali e al 91,99% del personale inviati via mare in Libia, Egitto e Tunisia di arrivare a destinazione. Quanto agli sbarchi del 9 luglio 1943, infine, questi ebbero luogo quando la Royal Navy poté nuovamente schierare nel Mediterraneo, per la prima volta dal maggio 1940 [sic] (dopo averle rastrellate attraverso tutti e sette i mari), sei corazzate e due portaerei riunite in un’unica squadra. Anche allora, però, ci fu un trucco, in quanto questa concentrazione eccezionale (da opporre alle sole due navi da battaglia italiane, il Littorioe il Vittorio Veneto, in servizio, in quel momento,a Spezia) non fu altro che una cortesia americana favorita in misura determinante dal prestito delle navi di linea della U.S. Navy Alabama, South Dakota e Nevada, inviate in Gran Bretagna con l’aggiunta, in seguito, della portaerei statunitense Ranger dopo che un aerosilurante italiano aveva messo fuori combattimento, il 16 luglio 1943, la portaerei inglese Indomitable.

Punta Stilo, la “battaglia da manuale” [addirittura], rappresentò così la differenza tra la vittoria inglese (rovinosa per l’Italia) pianificata a Londra sin dal 1937 e da incassare, con poca spesa, il prima possibile e la successiva pace statunitense di compromesso all’origine degli attuali equilibri mondiali. Un risultato storico, politico ed economico, pertanto, non piccolo e conseguito dai marinai italiani nonostante tutto e tutti, tanto da bruciare, evidentemente, ancora oggi, quan tomeno a giudicare dalla cortina di bugia [parla l’esperto] con cui si è cercato di nascondere, contro ogni evidenza, quello che successe veramente nel corso di un pomeriggio degno di gloria e di memoria.

 

        [A questo punto, tante sono le inesattezze descritte, che dovrei sottrarmi ad esprimere un giudizio conclusivo.

L’autore, come ha dimostrato in altri suoi scritti, si fida troppo di quello che é riportato in testimonianze, come quella "Venti anni fa ero un disegnatore al Cantiere Yarrow a Victoria, e ho visto la documentazione fotografica del WARSPIRE in quel tempo a Seattle. Ricordo circa 15 fotografie dei danni tre o quattro dei quali sono stati da colpi subacquei”. Questa discutibile testimonianza, che mai io mi sarei sognato di riportare, l’Autore, nel suo entusiasmo per la presunta conferma alla sua tesi, l’ha presa per vera: quindi si trattava di danni di proiettile che aveva colpito la WARSPITE a Punta Stilo, facendo anche l’esteso elenco dei danni che la corazzata aveva riportato.

         Ora, a scanso di equivoci, se la WARSPITE, lasciando Alessandria, era andata in America per le riparazioni, ciò avvenne tra l’11 agosto 1941 e la fine di dicembre del 1941 nell’arsenale di Brementon (US Navy Dockyard at Puget Sound), dello Stato di  Washington, dopo che corazzata era stata gravemente devastata, e messa fuori combattimento, il 22 maggio a sud di Creta, da una bomba da 250 chili sganciata da un cacciabombardiere tedesco Bf. 109 della 8a Squadriglia del 3° Gruppo del 77° Stormo Caccia (8./JG.77), pilotato dal tenente Wolf-Dietrich Huy. 

         L’episodio di Punta Stilo era precedente di ben 10 mesi. Siamo all’incredibile! Dopo il combattimento del 9 luglio la WARSPITE era tanto in “difficoltà” che, raggiunta Alessandria il giorno 13, ne riparti alle ore 11.00 del giorno 19 per una semplice missione di appoggio ad un rastrello di cacciatorpediniere lungo le coste egiziane. Dovendo essere riparata per il presunto colpo della WARSPITE, secondo i danni denunciati, avrebbe dovuto trovarsi in bacino.

         Dopo aver scritto "Sparammo meglio di quasi tutti" é difficile fare cambiare opinione all'Autore, ormai troppo compromesso, é un colpo sparato da grande distanza che avesse colpito a Punta Stilo la WARSPITE , o un altra corazzata britannmica, con il tiro della CESARE, del TRENTO o addirittura del DI GIUSSANO, sarebbe stata l'esaltazione della sua teoria, la ciliegina sulla torta.] 

 

 

Alcune immagini di questo articolo sono state donate dal socio Alessandro Castegnaro del Gruppo di Vicenza il cui padre; il Ten. (G.N.) Giovanni Castegnaro, era imbarcato sulla R. Nave Giulio Cesare, ed era il fotografo di Bordo. ANMI le ha incluse nella propria Collezione nel FONDO CASTEGNARO e l’intera collezione è disponibile per appassionati e collezionisti purché ne venga specificata la provenienza.

Edited by Francesco Mattesini
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          Dopo aver scritto l’articolo “I sette minuti di Punta Stilo” al Dott. Enrico Cernuschi era stato chiesto quali fosserto le collocazioni che dimostrassero la verità sul presunto colpo, e soprattutto i danni da esso causati,  alla corazzata britannica Warspite.  Egli aveva dato tre collocazioni del Public Record Office (PRO) oggi National Archives di Londra.

         Essendomi impegnato a dimostrare che di quel colpo non vi è traccia in nessun rapporto britannico da me conosciuto, ho chiesto aiuto al mio amico Platon Alexiades.

         Di seguito la mia richiesta e la sua pronta risposta, per cui lo ringrazio pubblicamente.

 

 

Caro Platon,

saresti in grado di procurarmi il Rapporto di missione della HMS WARSPITE.

Cernuschi cita i seguenti fondi - ADM1 9441 - ADM1 18056 - ADM1 CAFO 258/40. Di che cosa si tratta.

Grazie anticipato

Cordialmente

Franco

 

 

Caro Franco,

None of the references given by Cernuschi corresponds to a document on HMS Warspite. There must be an error in the reference numbers.

For example: ADM1/9441 corresponds to a file on the plans of HMS Lion and is dated 1938 (before Punta Stilo).

ADM1/18056 has: STRATEGY AND TACTICS (82): Provision in Plymouth area of submarine sanctuary for aircraft and anti-submarine training and is dated 1945. 

CAFO 258/40 is not a reference valid for Kew.

Sorry.

Cordialmente,

Platon

 

 

         Risultato, quello che ha scritto il Dottor Cernuschi è solo fumo, che dura ormai da vent’anni!

 

Francesco Mattesini

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  • 4 years later...

Buongiorno a tutti,

con riferimento a quanto scritto dal professor Mattesini

[E’ scritto in un documento inedito dell’Ufficio Storico della Marina Militare:  Il tiro del CESARE fu rapidamente portato a cavallo. La prima salva cadde in cursore corta. Fu allungata di 600 metri: la salva corta del secondo gruppo scalata cadde a cavallo e probabilmente con colpi utili: il tiro fu accorciato di 400 e si passò al fuoco celere, sparando non più per gruppi ma ogni qualvolta erano pronte o una torre trinata o due torri binate. Nonostante le contrarie affermazioni inglesi si ha ragione di ritenere che altri colpi siano caduti sul bersaglio.]

è possibile conoscere il documento? Speravo di trovarne la citazione nella sua ultima opera PUNTA STILO, LA PRIMA BATTAGLIA AERONAVALE DELLA STORIA che ho trovato su Academia.edu, ma purtroppo non l'ho trovata.

Ringrazio anticipatamente

Riccardo

 

 

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