Franco Bargoni con l'autore
Franco Bargoni con Platon Alexiades
Franco mi aveva raccontato la storia della sua vita e della sua passione per le navi, non senza inframmezzare qualche puntatina polemica - da buon livornese - per chi, come qualche ben noto scrittore di cose navali, pretende di scrivere su argomenti di cui è in realtà digiuno (basta pensare alla famosa polemica sui fantomatici "siluri perforanti", oggetto di una sua precisazione guarda caso mai pubblicata dalla "Rivista Marittima" e ben volentieri ospitata sul Bollettino AIDMEN n. 28 del 2014). Anzi, Franco sosteneva che nientemeno che Aldo Fraccaroli si rivolgeva a lui per identificare le navi più difficili...
Dopo aver frequentato il corso per ufficiali di complemento all'Accademia di Livorno, si era imbarcato sul cacciasommergibili PERTINACE AS 113 addetto alla Scuola Antisom al Varignano come guardiamarina. Il PERTINACE era l'ex yacht privato di VIttorio Emanuele III YELA (nome montenegrino della regina Elena), il secondo di questo nome. Franco teneva sugli scaffali foto e pitture della nave, tra cui uno schizzo fatto dal nostro Marco Ghiglino per lui. Ne posto qualche foto tratta dal libro di Giorgio Spazzapan, Gianluca Mirto e Sergio Pivetta "Relitti e navi sommerse - Liguria e Toscana" . E Franco era tutto contento - come tutti i navalisti di vaglia - di un suo personale successo nella "caccia all'errore". Il libro definisce infatti come un "relitto non ancora localizzato" quello del PERTINACE, portato ad arenarsi sulle secche delle Meloria davanti a Livorno da un attacco aereo tedesco quando il 9 settembre cercava di raggiungere il Sud, mentre Franco lo aveva visto con i suoi occhi venir demolito nel dopoguerra dalla ditta livornese dei Fratelli Neri.
Il PERTINACE come YELA
PERTINACE AS 113
Durante una uscita notturna con il PERTINACE nel 1941 su allarme antisom, essendosi vestito troppo leggero, si era buscato una pleurite - che non gli ha impedito di arrivare ai 92 anni suonati -, e quindi la Marina lo aveva messo in congedo per motivi di salute. Aveva allora scritto una accorata lettera al CSM della Marina chiedendo di poter continuare a servire il paese, ed era stato destinato ai servizi a terra, in particolare all'Ufficio Cifra del comando sommergibili di Taranto.
Qui si trovava all'arrivo degli Alleati il 9 settembre 1943, e fu presente alla famosa scena dell'ammiraglio Brivonesi che autorizzava la notte precedente la riconsegna delle mine alle due Schnellboote S 54 e S 61 e alla motozattera tedesca MFP F 478 in uscita ("Sono le loro, dategliele"), le quali si affrettarono a disseminarle nottetempo sulla rotta di uscita dal Mar Grande, con le conseguenze che sappiamo (la perdita del posamine veloce ABDIEL con gravi perdite umane e poi quella del rimorchiatore SPERONE con la morte di 27 marinai italiani a bordo).
A seguito della perdita dell'ABDIEL, che aveva a bordo tutto il modesto parco automezzi della divisione paracadutisti britannica sbarcata a Taranto, gli inglesi requisirono tutti gli automezzi della base di Taranto per raggiungere subito Bari prima che vi arrivassero i tedeschi. E quindi i marinai italiani in libera uscita dovevano compiere a piedi tutto il periplo del Mar Piccolo (sette chilometri) per raggiungere la città vecchia. Bargoni criticò un suo superiore che si riservava per fini privati l'unico camioncino rimasto, e fu trasferito per punizione ad Augusta, una base ormai poco più che un cumulo di macerie; ma riuscì quasi subito a rientrare a Taranto, perché nella base siciliana mancava il presidio medico in grado di effettuare la visita di controllo dovuta per le sue condizioni di salute. con grande scorno del superiore.
A Taranto, gli inglesi si erano impossessati dei primi due piani dell'edificio del Circolo Ufficiali, lasciando agli italiani solo il terzo piano: Bargoni in quei mesi quindi incontrò e conobbe tutti o quasi gli ufficiali della Regia Marina. La foto che lo rappresenta con la mani giunte in chiave ironica viene da lui stesso descritta così: di fronte alla dovizia dei mezzi navali alleati presenti nella base "E noi volevamo far la guerra a questi?!"
A giugno 1944, con la liberazione di Roma, il Re lascia il campo al Luogotenente del Regno Umberto II e il governo Badoglio passa il testimone al Governo di Ivanoe Bonomi, che giura fedeltà non più al Re ma alla Nazione. Nel governo Bonomi viene confermato come Ministro della Marina Raffaele de Courten, che quindi si acconciò a questo giuramento. Ma a Taranto si verificò allora una mezza sommossa degli ufficiali di marina, in gran parte monarchici, che guidati dal prestigioso comandante Carlo Fecia di Cossato, - il protagonista con la sua torpediniera ALISEO della battaglia davanti a Bastia che costò ai tedeschi gravi perdite - considerarono quello di de Courten un vero e proprio tradimento, e per qualche tempo si rifiutarono - Fecia di Cossato in primis - di uscire in missione con le loro navi al servizio degli Alleati e pitturarono sulle torrette lo stemma dei Savoia (posto una foto tratta dal saggio di Bargoni "Per la Patria e per il Re", uscito sulla "Rivista Marittima" nel gennaio 2001, che ricostruisce quel difficile periodo).
Il pezzo da 100/47 mm della Regia Torpediniera Ariete nel settembre 1944
Bargoni condivise questa protesta, e dopo il doloroso suicidio di Fecia di Cossato (27 agosto 1944 a Napoli) si congedò dalla Marina e tornò a Livorno, o meglio all'Ardenza, dove la famiglia gestiva una farmacia, e intraprese quella carriera, spostandosi a Roma nel quartiere Appio negli anni '60, nonostante un tentativo del ministro della sanità dell'epoca Mancini di assegnare quel posto ad un collega calabrese.
E' proprio questa caratura "monarchica" della Regia Marina, del resto ben nota, che ha ispirato qualche pubblicista parafascista negli anni '50 a creare la leggenda metropolitana del "tradimento" della Marina, dando così vita ad un filone di polemiche più o meno immaginifiche, che arrivano fino ad attribuire agli uomini di Junio Valerio Borghese l'affondamento nel 1955 a Sebastopoli in Crimea della corazzata sovietica NOVOROSSIISK, la ex italiana GIULIO CESARE consegnata all'URSS dal Trattato di Pace del 1947, e in realtà saltata su una minata tedesca non ancora dragata dai sovietici ben dieci anni dopo la fine della guerra....
Ma torniamo al nostro Franco: era particolarmente orgoglioso delle sue tante pubblicazioni, ma in particolare del libro "L'impegno navale italiano durante la guerra civile spagnola 1936-1939", pubblicato dall'USMM nel 1992, poi tradotto in spagnolo e ripubblicato in Spagna, perché basato su documenti d'archivio dell'Ufficio Storico da lui riordinati e cui solo lui aveva avuto accesso.
Rivista Navale a Napoli nel 1912 dal "Bollettino d'Archivio dell'USMM" a.I .n.1, settembre 1987
Franco Bargoni riposa ora nel piccolo cimitero dell'Ardenza, davanti al mare, accanto alla moglie da lui tanto amata e alle spoglie dei genitori e della sorella, drammaticamente scomparsa su una mina tedesca nel 1944.
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